L'ho incontrato la prima volta a 16 anni.
Ad oggi ho bruciato tutti le sue cassette a forza di risentirle, ho dovuto aspettare l'avvento del CD per avere un supporto che non si rovinasse a forza di riprodurlo.
Restava solo da incontrarlo di persona e stasera, finalmente, dopo 20 anni, ci siamo incontrati.
Forest National ore 18:30
Arrivo presto sotto una pioggerellina insistente, di quelle tipiche di questo paese. presente, ma che ti fa sentire ridicolo ad aprire l'ombrello.
Forest si profila dietro ad una collina come un enorme fortezza assediata, al gente è li e aspetta. L'aria è piena del odore di patate fritte servite nei due chioschi di fronte.
Grazie a Nathalie ho un ingresso stampa e, recuperato questo, mi accomodo a sedere. Il posto è quasi fra le prime file, non solo potrò assistere al concerto, ma praticamente lo seguirò come se fossi seduto sulle sue ginocchia. :)
Forest National ore 20:30
L'ospite si fa attendere, ma infine le luci si spengono.
Mi guardo rapidamente intorno e noto che i "giovani" li hanno la mia età. Pochi bambini ad accompagnare i genitori e parecchie signore in età leggermente poco acerba. Il tempo passa per tutti immagino.
Un fascio di luce investe il palco e siamo coperti in una marea liquida di laser spezzata dal fumo che aleggia nella grande sala.
Ad un tratto una mano spezza la coltre di luce, che lentamente, come la risacca, indietreggia scoprendo il nostro ospite. L'inizio è impressionante non c'è che dire.
Sul palco si intravedono le sagome dei musicisti, sono tre più Jarre. Un solo batterista, per il resto solo strumentisti elettronici.
Niente strumenti classici, molti strumenti sperimentali (come lo xilofono a Laser) e un groviglio di macchine leggermente inquietante copre il palco in tutta la sua lunghezza.
La luce invade ogni angolo della sala creando chiaroscuri complessi, la musica scivola sulle rampe laser dando l'impressione di una presenza costante.
Mi chiedo se sto guardando uno spettacolo oppure se siamo noi lo spettacolo, avviluppati nelle nebbie squarciate dalle luminescenze multicolori.
Jarre corre per tutta la lunghezza del palco avanti e indietro, si ferma ad ogni macchina, regola un volume, spinge un pulsante, tira una leva. Tutto è elettronico è vero, ma non è l'elettronica di oggi.
Sembra di assistere al ritorno di un astronauta perso nel cosmo dagli anni '70 e tornato ai giorni nostri. I musicisti sembrano quasi lottare con quella massa di cavi e strumenti ingombranti e quando risuonano le nostalgiche note di L' ètranger sembra una versione marziana di Anonimo Veneziano.
Magnetic Fields I, Rendez vous II, Waiting for Cousteau.
I laser e i giochi di luce sono sempre presenti, si insinuano, seguono i suoni, accentuano i contrasti del ritmo, planano sulla folla, li tocchiamo e siamo completamente immersi nella commistione fra musica e luce.
In "Figli di un Dio minore" William Hurt non riesce a spiegare la musica a gesti, ma noi siamo li e possiamo quasi sentire le note scivolare in fondo alla nostra gola.
La melodia è possente e sottolineata da piccole divagazioni sonore. Jarre non si limita a seguire la partizione,. la arricchisce, inserisce suoni, distorsioni. Anni e anni ad esplorare i sintetizzatori lasciano l'impressione di un fabbro che batta il ferro di fronte ai nostri occhi e il risultato cresce, cresce, velocissimo.
Persino quando sul palco appare una fisarmonica per Calypso "Fin du siecle" sembra quasi normale, sembra quasi che sia stata li da sempre.
Ma la divagazione dura pochi minuti Chronologie II taglia un due la sala come un affilato rasoio e scattiamo tutti in piedi, impossibile stare seduti ne risedersi quando Oxygen IV la segue.
Il gruppo è una macchina ben oliata, si vede un lavoro immenso dietro, ma quando risuonano le note di Industrial revolution, pezzo di chiusura dello spettacolo, il giocattolo si rompe.
Nel pezzo centrale, all'improvviso lo xilofono laser decide che ha dato abbastanza. Jarre è confuso, cerca di regolare al volo la macchina, mentre i suoi compagni continuano a seguire la partizione.
Nulla da fare. Jarre allarga le braccia sconsolato e riprende la terza parte del pezzo da dietro il suo sintetizzatore.
Nessuno di noi protesta. Il piccolo incidente ci ha ridato l'umanità nella macchina. Va benissimo così.
Il nostro ospite ci lascia, ma lo richiamiamo sul palco per un Magnetic Fields II che annega fra le luci laser e le urla del pubblico.
Stavolta è davvero finita, l'artista si accomiata e io lentamente riprendo la strada di casa.
Chiudo gli occhi e mi gusto ancora il ricordo del mare di luce che mi ha avvolto fino a pochi minuti prima e penso che sia valsa la pena di aspettare tanto per un momento come questo.
Ciao Jean Michel, piacere di averti conosciuto un altra volta.
2 commenti:
heheheheheheh!
mi sarebbe garbato esserci anche solo per fare il Nelson Muntz della situazione e dire "Ha-ha!" quando gli s'è stroncato il giochino!!!
:DDDDDDDDDDDDDDDDD
no, scherzi a parte: anche se unn'è il mi' genere, massima invidia!!!
anche solo per i laser....
mmmhhhhh........
Bello....
Posta un commento